Area demaniale, per il Registro conta la data della concessione

02.05.2025

Le concessioni di beni demaniali riconducibili a un rapporto di concessione amministrativa non possono equipararsi, con riferimento all'imposta di registro, alle locazioni di immobili urbani, prima dell'entrata in vigore dell'articolo 3, comma 16, Dl n. 95/2012 che ha esteso alle concessioni demaniali il regime specifico dell'articolo 17, terzo comma, del Dpr n. 131/1986 (Tur); non sussiste pertanto l'interesse del conduttore posto alla base della norma citata (articolo 17, terzo comma) nella disciplina applicabile al tempo dei fatti in esame. Questo è il principio di diritto espresso dalla Corte di cassazione nella sentenza n. 7996 del 26 marzo 2025.

La vicenda processuale
Il contenzioso trae origine da un avviso di liquidazione emesso dall'Agenzia delle entrate, con cui è stato richiesto il pagamento dell'imposta di registro su tutti i canoni annui previsti in una concessione per 60 anni di un'area del demanio portuale (atto pubblico registrato il 19 gennaio 2010), estesa per quasi 210.000 mq, con un canone annuo di 500mila euro circa.

La contribuente aveva versato l'imposta di registro in misura proporzionale unicamente sul canone di un anno e non per tutta la durata della convenzione, ritenendo di poter beneficiare, prima dell'entrata in vigore dell'articolo 3, comma 16, Dl n. 95/2012, della disciplina prevista dall'articolo 17, comma 3, Tur, in base alla quale "per i contratti di locazione e sublocazione di immobili urbani di durata pluriennale l'imposta può essere assolta sul corrispettivo pattuito per l'intera durata del contratto ovvero annualmente sull'ammontare del canone relativo a ciascun anno. In caso di risoluzione anticipata del contratto il contribuente che ha corrisposto l'imposta sul corrispettivo pattuito per l'intera durata del contratto ha diritto al rimborso del tributo relativo alle annualità successive a quella in corso. […]".

La Commissione tributaria regionale ha rigettato l'appello dell'Agenzia delle entrate avverso la decisione di primo grado, che aveva accolto il ricorso della contribuente, proposto contro l'avviso di liquidazione dell'imposta di registro per tutti i canoni annui previsti nella convenzione.
Tuttavia, l'Agenzia ha presentato ricorso per cassazione affidandosi a un motivo di impugnazione, fondato sulla violazione e falsa applicazione degli articoli da 2 a 6 Tfue, dell'articolo 1, comma 993 della legge finanziaria per il 2007, degli articoli 17, comma 3, 43, comma 1, lettera h), del Tur, e dell'articolo 5, comma 2, tariffa, in relazione all'articolo 360, comma 1, n. 4, del codice di procedura civile.

La contribuente ha resistito con controricorso, chiedendo preliminarmente l'inammissibilità del ricorso per mancanza di specificità e, nel merito, il rigetto dello stesso. Ha, inoltre, riproposto le eccezioni non analizzate dalla sentenza impugnata ossia la violazione degli articoli 10 e 12, comma 7, dello Statuto dei diritti del contribuente; la decadenza ex articolo 76, Tur e la violazione e falsa applicazione dell'articolo 10-bis, legge n. 241/1990.

La pronuncia
La Corte suprema ha ritenuto ammissibile il ricorso proposto dall'Agenzia delle entrate e fondato il motivo di impugnazione relativamente alla violazione degli articoli 17, comma 3, 43, comma 1, lettera h), e 45 del Tur, cassando la sentenza impugnata con rinvio alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado, in considerazione delle eccezioni sollevate dalla controricorrente e per la liquidazione delle spese del giudizio di legittimità.

I giudici di piazza Cavour hanno affermato che, prima dell'entrata in vigore dell'articolo 3, comma 16, del Dl n. 95/2012, il quale prevede che "le previsioni di cui all'articolo 17, comma 3 del Decreto del Presidente della Repubblica 26 aprile 1986, n. 131 si applicano alle concessioni di beni immobili appartenenti al demanio dello Stato, fermo restando quanto previsto dall'articolo 57, comma 7, del medesimo decreto", la disciplina dell'articolo 17, comma 3, Tur, non si applicava alle concessioni demaniali.
Infatti, tale disposizione, prima della suddetta modifica normativa, si riferiva alle locazioni pluriennali di immobili urbani, per le quali il legislatore aveva inteso tutelare l'interesse del conduttore, consentendo il pagamento annuale dell'imposta e la possibilità di rimborso in caso di cessazione anticipata del contratto.

Nella sentenza viene fatto riferimento a diversi precedenti che hanno contribuito a chiarire la distinzione tra concessioni demaniali e locazioni di immobili urbani. Tra questi, l'ordinanza della Corte costituzionale n. 461/2006, che ha escluso l'incostituzionalità dell'articolo 17, comma 3, Tur, confermando la legittimità di differenza di disciplina per la locazione pluriennale di immobili urbani rispetto all'affitto pluriennale di azienda, giustificata dalle particolari esigenze sociali sottese ai contratti di locazione, che non può essere automaticamente estesa ad altri contratti.

A rafforzare il ragionamento, ossia che la concessione di un'area del demanio portuale non può equipararsi alla locazione di immobile urbano, poiché per la prima non ricorrono le esigenze di tutela del conduttore ex articolo 17, comma 3, Tur, la Cassazione ha richiamato anche l'ordinanza n. 6019/2016 delle sezioni unite civili, la quale ha distinto le concessioni delle aree demaniali destinate a un pubblico servizio da quelle non destinate a un pubblico servizio, inquadrabili nello schema privatistico della locazione "Affinché un bene non appartenente al demanio necessario possa rivestire il carattere pubblico proprio dei beni patrimoniali indisponibili, in quanto destinati a un pubblico servizio ai sensi dell'art. 826, comma 3, c.c., deve sussistere il doppio requisito (soggettivo e oggettivo) della manifestazione di volontà dell'ente titolare del diritto reale pubblico (e, perciò, un atto amministrativo da cui risulti la specifica volontà dell'ente di destinare quel determinato bene a un pubblico servizio) e dell'effettiva e attuale destinazione del bene al pubblico servizio; in difetto di tali condizioni e della conseguente ascrivibilità del bene al patrimonio indisponibile, la cessione in godimento del bene medesimo in favore di privati non può essere ricondotta a un rapporto di concessione amministrativa, ma, inerendo a un bene facente parte del patrimonio disponibile, al di là del "nomen iuris" che le parti contraenti abbiano inteso dare al rapporto, essa viene a inquadrarsi nello schema privatistico della locazione, con la conseguente devoluzione della cognizione delle relative controversie alla giurisdizione del giudice ordinario." (In tal senso, anche Cassazione, sezioni unite, sentenza n. 14865/2006).

Nel caso in esame, la Corte di cassazione ha ricondotto il demanio portuale oggetto della controversia al primo tipo, ossia a un rapporto di concessione amministrativa, escludendo l'equiparazione dello stesso, quanto all'imposta di registro, alle locazioni di immobili urbani, prima dell'entrata in vigore dell'articolo 3, comma 16, Dl n. 95/2012, che ha esteso, con efficacia non retroattiva (visto il carattere finanziario e non di interpretazione autentica della norma), alle concessioni di beni immobili appartenenti al demanio dello Stato il regime di cui all'articolo 17, comma 3, Tur, fermo restando quanto previsto dall'articolo 57, comma 7, Tur.

Infine, è stato precisato che l'articolo 45 Tur - Concessioni e atti con amministrazioni dello Stato, il quale prevede che "per gli atti concernenti le concessioni di cui all'art. 5 della parte prima della tariffa, nonché per gli atti portanti trasferimento di beni immobili o diritti reali immobiliari da o ad amministrazioni dello Stato, compresi gli organi dotati di personalità giuridica, con valore determinato dall'ufficio tecnico erariale in base a disposizioni di legge, la base imponibile è costituita, rispettivamente dall'ammontare del canone ovvero da quello del corrispettivo pattuito"deve intendersi norma specifica rispetto alla generale previsione dell'art. 43 Tur.

Osservazioni
La sentenza in commento, attraverso la ricostruzione del quadro normativo di riferimento e il richiamo e coordinamento di più orientamenti giurisprudenziali,fornisce un importante chiarimento in materia di imposta di registro e sull'ambito di applicazione del regime ex articolo 17, comma 3, Tur prima dell'entrata in vigore dell'articolo 3, comma 16, del Dl n. 95/2012, il quale ha operato un'esplicita estensione della disciplina prevista per le locazioni pluriennali di immobili urbani alle concessioni di beni immobili appartenenti al demanio dello Stato, senza effetto retroattivo.Tale elemento temporale è risultato decisivo nel caso in esame, in quanto l'atto oggetto di imposta era stato stipulato nel 2010 e, pertanto, la disciplina successiva non poteva che rimanere inapplicabile ratione temporis.

Al riguardo, ricordiamo che l'Agenzia delle entrate, con risposta n. 157 del 28/05/2020, ha precisato che la disposizione di cui all'articolo 3, comma 16, del Dl n. 95/2012, presenta un campo di applicazionecircoscritto agli atti di natura concessoria aventi ad oggetto beni immobili appartenential demanio dello Stato, ossia a quegli atti in cui parte del provvedimento diconcessione sia lo Stato.
Tale soluzione interpretativa, trova conferma sia nella lettera dellanorma, che si riferisce ai "beni immobili appartenenti al demanio dello Stato" sia nella circostanza che la medesima norma richiama l'articolo 57, comma 7, Tur, disposizione che si applica solo nei "contratti in cui è parte lo Stato".

Pertanto, nel caso specifico, l'Agenzia ha ritenuto che all'atto di concessione di bene demaniale marittimo del Comune trovi applicazione l'imposta di registro corrisposta con aliquota del 2 per cento, ai sensi dell'articolo 5, comma 2, della Tariffa, parte prima, allegata al Tur, e applicata sulla base imponibile costituita dall'ammontare complessivo dei canoni pattuiti per l'intera durata della concessione.