Iva non detraibile se l’appalto è fittizio e la manodopera irregolare

27.06.2025

Con la sentenza n. 14200 del 28 maggio 2025 la Corte di Cassazione interviene su un tema delicato e ricorrente nella prassi degli accertamenti fiscali: la deducibilità dei costi e la detraibilità dell'Iva in presenza di un contratto di appalto che cela una somministrazione irregolare di manodopera, riconducibile a un soggetto ritenuto "cosiddetto cartiera". La decisione si inserisce nel consolidato orientamento secondo cui, in presenza di somministrazione irregolare di manodopera schermata da un contratto di appalto, i relativi costi sono indeducibili e l'Iva non è detraibile, per mancanza di un valido titolo giuridico.

Il fatto
La vicenda trae origine da un avviso di accertamento notificato dall'Agenzia delle entrate di Latina a una società in nome collettivo (Snc), a seguito di una verifica condotta dalla Guardia di finanza nel 2009. L'accertamento riguardava l'anno d'imposta 2004 e contestava l'indebita deduzione di un costo, pari a euro 13mila euro, oltre a una detrazione Iva di euro 2.600 euro, concernente una fattura emessa da una società cooperativa e relativa ad un'attività di facchinaggio.

Secondo l'Amministrazione finanziaria, l'operazione fatturata doveva ritenersi soggettivamente inesistente, in quanto la cooperativa aveva agito solo formalmente come prestatore del servizio di facchinaggio, mentre in realtà i lavoratori operavano stabilmente presso la società contribuente, in regime di piena integrazione organizzativa, tanto da configurare un'interposizione vietata.

La contestazione non riguardava l'effettiva esecuzione del facchinaggio, bensì l'inesistenza soggettiva del prestatore, ovvero la sua natura fittizia quale soggetto giuridico autonomo. A seguito di tale impostazione, l'ufficio negava sia la deducibilità del costo sia la detraibilità dell'Iva.

Contemporaneamente all'accertamento nei confronti della società, venivano notificati anche atti di accertamento ai soci, per la quota di reddito di partecipazione corrispondente (ex articolo 5 del Dpr n. 917/1986), generando contenziosi paralleli poi riuniti in sede di legittimità.

In primo grado, la Commissione tributaria provinciale di Latina accoglieva i ricorsi della società e dei soci, ritenendo che l'Agenzia non avesse dimostrato l'effettiva inesistenza soggettiva dell'operazione. Secondo i giudici di primo grado, l'Amministrazione si era limitata a richiamare elementi indiziari senza fornire prova concreta della fittizietà dell'interposizione.

In appello, la Commissione tributaria regionale del Lazio ribaltava la decisione. Accoglieva gli appelli dell'Agenzia, sostenendo che il quadro indiziario delineato nel processo verbale di constatazione fosse sufficiente a dimostrare la natura fittizia del rapporto tra la società contribuente e la cooperativa.

La società e i soci proponevano distinti ricorsi per Cassazione, successivamente riuniti.

La posizione della Cassazione
I Giudici di piazza Cavour, nel rigettare i ricorsi, hanno affrontato punto per punto le censure, richiamando e ribadendo principi già affermati dalla giurisprudenza di legittimità.

Le sentenze di merito, secondo la Corte, sono state motivate in modo congruo e pertanto non si tratta di "motivazione apparente" intesa come da costante giurisprudenza di legittimità (Cass., S.U. n. 19881/2014), in quanto fondano il proprio convincimento su elementi chiari e logicamente valutati quali: la mancanza di autonomia operativa della cooperativa, la promiscuità tra i lavoratori della cooperativa (soggetto appaltatore) e quelli della società ricorrente (soggetto committente), l'assenza di adempimenti fiscali in capo della cooperativa che non aveva assolto il versamento delle imposte dovute.

La Cassazione sottolinea che i giudici di merito hanno espressamente valutato l'esistenza della cooperativa e dei lavoratori, concludendo per la natura fittizia del rapporto sulla base di indizi gravi, precisi e concordanti.

Per la Corte, è pacifico che l'operazione di facchinaggio è stata svolta, ma il soggetto che ha formalmente emesso la fattura (la cooperativa) non è il vero prestatore della manodopera. La prestazione è stata resa direttamente alla società contribuente, che ne ha tratto beneficio, utilizzando lavoratori sostanzialmente "propri".

Un passaggio centrale della sentenza riguarda, poi, il tema della prova. Per la Corte una volta venuta meno l'efficacia giuridica della fatturazione, per la nullità dei contratti fra la società interponente e la società interposta (così nel caso in esame, dove rileva il contratto di appalto stipulato tra la società cooperativa e la società contribuente), viene meno anche la deducibilità dei costi fatturati e l'onere della prova rigorosa delle componenti di costo riferibili in concreto alla sola forza lavoro incombe su colui che invoca la deduzione (Cassazione n. 10648/2024).

Nel caso in esame, la società non ha fornito elementi sufficienti a dimostrare l'effettiva autonomia della cooperativa e la regolarità del rapporto. Anzi, gli elementi raccolti dalla Guardia di finanza (assenza di beni strumentali, mancata contribuzione, sovrapposizione di personale) deponevano in senso contrario.

Pertanto, se il contratto di appalto è fittizio e cela una somministrazione irregolare, il titolo è nullo. Da ciò discende la non deducibilità del costo (per mancanza di certezza e inerenza) e l'indetraibilità dell'Iva (per assenza di un presupposto impositivo valido).

Considerazioni conclusive
La sentenza in esame si pone in perfetta continuità con numerosi precedenti di legittimità, dove viene ribadito che in presenza di contratti nulli la detrazione Iva e la deduzione dei costi non sono possibili (Cass. n. 18808/2017, Cass. n. 32185/2019, Cass. n. 34876/2021, Cass. n. 7440/2022).

Pertanto, la mera esistenza formale del contratto e della fattura non è sufficiente. Occorre verificare la reale autonomia gestionale e organizzativa del prestatore, il regolare assolvimento degli obblighi fiscali e contributivi, la concreta separazione tra personale impiegato e la struttura del committente.

Laddove questi elementi non sono riscontrabili, l'intero impianto contrattuale può essere riqualificato, con conseguente disconoscimento delle relative componenti negative.

Da Fisco Oggi