La domanda di concordato non evita il reato di omesso versamento Iva

28.04.2022

L'amministratore unico di una srl che, dopo aver fatto ricorso alla procedura concordataria, non abbia provveduto a formalizzare al Tribunale fallimentare l'istanza di autorizzazione per i pagamenti tributari in scadenza, risponderà del reato di omesso versamento Iva ex articolo 10-ter, Dlgs n. 74/2000. Di conseguenza, deve essere annullata l'ordinanza del Tribunale del riesame, nella parte in cui ritiene che il reato di omesso versamento provvisoriamente contestato all'indagato - per l'inadempimento riferito a una scadenza rilevante a fini penali, maturata dopo la domanda di concordato - debba ritenersi scriminato, essendo stato commesso nell'adempimento del dovere di non compiere atti lesivi della par condicio creditorum in pendenza della procedura concordataria, poiché tale provvedimento del giudice rischierebbe di consentire l'utilizzazione strumentale della domanda di ammissione al concordato preventivo in vista del scopo di evitare la responsabilità penale per inadempimento fiscale, "quasi giungendo a configurarla come una condizione meramente potestativa di non punibilità" Lo ha chiarito la Cassazione nella sentenza n. 9248 del 18 marzo 2022.
I fatti
Il caso in esame riguarda il rapporto tra la procedura di concordato preventivo del soggetto tenuto al versamento dell'Iva e il profilo dell'eventuale produzione di effetti inibitori della stessa procedura rispetto all'obbligo di versamento imposto dalla legge tributaria, con conseguente rilevanza penale o meno dell'omissione del versamento.
Con riferimento alla vicenda "fallimentare", nel novembre 2018, una srl ha presentato domanda di ammissione alla procedura di concordato preventivo. Fissati i termini per la presentazione della documentazione, il Tribunale ha anche stabilito, in via provvisoria, che per i pagamenti di importo superiore a 50mila euro sarebbe stata necessaria l'autorizzazione dell'autorità giudiziaria, previa comunicazione ai commissari giudiziali nominati. Prima di effettuare il deposito della documentazione, il 27 luglio 2018, la società ha presentato telematicamente il modello Iva 2018, concernente l'imposta da versare per l'anno 2017, il cui termine per adempiere scadeva il 27 dicembre 2018.
La domanda di concordato corredata dal piano, comprendente la proposta di transazione fiscale, è stata depositata il 29 novembre 2018 e il Tribunale fallimentare, in data 26 giugno 2019, ha adottato il provvedimento di ammissione alla procedura concorsuale, evidenziando la fattibilità giuridica (e non anche economica) del piano e l'opportunità di ammettere la società alla procedura nonostante il dissesto, grazie al promesso apporto di finanza esterna.
Sul piano penale, poi, l'8 luglio 2021, il Gip ha emesso decreto di sequestro preventivo nei confronti dell'amministratore unico della srl, indagato del reato ex articolo 10-ter, Dlgs n. 74/2000, poiché non aveva versato l'Iva 2017 indicata in dichiarazione per un importo pari a circa 521.441 euro. Il sequestro era finalizzato alla confisca diretta delle somme di denaro nella disponibilità della società coinvolta e, in via subordinata, alla confisca per equivalente dei beni propri dell'indagato, sempre fino alla concorrenza complessiva dell'imposta evasa.
Il decreto è stato annullato dal Tribunale di Benevento che ha accolto la richiesta di riesame, aderendo all'orientamento minoritario di legittimità secondo il quale la semplice presentazione della domanda di concordato preventivo precluderebbe l'adempimento delle obbligazioni tributarie. Il procuratore della Repubblica ha impugnato l'ordinanza in Cassazione, chiedendone l'annullamento e deducendo, con un unico motivo di doglianza, la violazione degli articoli 10-ter, Dlgs n. 74/2000, 51 cp, 167 e 168 del Rd n. 267/1942.
Il Tribunale del riesame, cioè, nell'annullare il provvedimento del Gip, avrebbe errato nel considerare insussistente il fumus commissi delicti del reato per operatività della scriminante ex articolo 51 del codice penale. Nonostante tali conclusioni risultassero conformi all'orientamento minoritario di legittimità (da ultimo, Cassazione, pronuncia n. 36320/2019) secondo cui l'obbligo di non procedere al pagamento del debito fiscale deriverebbe già dalla legge (articoli 167 e 168, legge fallimentare), non essendo necessario a escludere i pagamenti alcun provvedimento specifico del Tribunale fallimentare coinvolto, tuttavia, il procuratore della Repubblica ha ritenuto più opportuno aderire all'orientamento maggioritario della stessa Cassazione secondo il quale la procedura di concordato preventivo scrimina i reati di omesso versamento, in relazione a obblighi tributari scaduti tra la presentazione dell'istanza di ammissione al concordato - sia esso "in bianco" che con deposito del piano - e l'adozione del relativo decreto, solo ove sia intervenuto un provvedimento del Tribunale che abbia vietato o comunque non autorizzato, come invece richiesto dall'interessato, il pagamento dei debiti tributari, essendo in tal caso configurabile la scriminante dell'adempimento di un dovere imposto da un ordine legittimo dell'autorità ex articolo 51 cp. Per contro, in mancanza di tali condizioni, il mero decreto di ammissione al concordato non può valere a scriminare "retroattivamente" gli omessi versamenti relativi a debiti scaduti anteriormente.
Secondo il procuratore ricorrente, inoltre, dall'articolo 161, comma 7, legge fallimentare, non emergerebbe - neppure se letto in maniera sistematica con i successivi articoli 167, 168 e 189 - alcun dovere, da parte del debitore che ha presentato la domanda di concordato, di non pagare i propri debiti. Ciò in quanto se, per non incorrere nella responsabilità penale, si ritenesse sufficiente la semplice presentazione della domanda di concordato preventivo prima della scadenza del termine per il pagamento dell'obbligazione tributaria penalmente rilevante, si creerebbe un sistema che incentiva la perpetrazione di tali reati, eludendo qualsiasi sanzione.
La Corte ha accolto il ricorso e ha affermato che "nessun effetto inibitorio rispetto al pagamento dei debiti fiscali potesse derivare dalla semplice domanda di concordato preventivo, cosicché sarebbe sussistente il fumus commissi delicti in presenza di omissione del versamento dei debiti tributari alla scadenza, non essendo vietato il loro adempimento dalla mera presentazione del ricorso per concordato".
Osservazioni
I giudici di piazza Cavour hanno ritenuto necessaria una riflessione preliminare sulla questione relativa ai rapporti tra il reato tributario in contestazione e la procedura di concordato preventivo.
La Cassazione ben conosce l'orientamento minoritario - fatto proprio dal giudice del riesame nell'ordinanza impugnata - per il quale, nel caso di ammissione al concordato preventivo, non è configurabile il fumus del reato di omesso versamento in relazione agli obblighi scaduti successivamente alla presentazione dell'istanza di ammissione al concordato, in quanto gli effetti di tale ammissione decorrevano dalla data della presentazione della relativa domanda (decisione n. 36320/2019). La pronuncia richiamata, in particolare, affermava che se il debitore, prima della scadenza del debito tributario, era stato ammesso alla procedura di concordato preventivo con pagamento dilazionato e/o parziale dell'imposta, l'inadempimento era scriminato dall'articolo 51 cp e tale interpretazione era giustificata sulla base dell'articolo 168, comma 1, legge fallimentare.
Al riguardo, tuttavia, la Corte ha osservato che la disposizione dell'articolo 168 citato non è riferita espressamente alla condotta che deve tenere il debitore, ma agli "effetti della presentazione del ricorso", a tenore del quale, "dalla data della pubblicazione del ricorso nel registro delle imprese e fino al momento in cui il decreto di omologazione del concordato preventivo diventa definitivo, i creditori per titolo o causa anteriore non possono, sotto pena di nullità, iniziare o proseguire azioni esecutive e cautelari sul patrimonio del debitore".
E, quindi, ha ritenuto di aderire alla diversa direttrice interpretativa maggioritaria (Cassazione, nn. 13628/2020 e 2860/2018) sulla base di quattro argomentazioni:

  1. "il filone civile", secondo il quale, dovendo essere rinvenuto il fondamento del pagamento del debito negli articoli. 161, comma 7, e 167 della legge fallimentare, il compimento di atti straordinari (tra cui il pagamento del debito tributario) non è vietato tout court anche in assenza di autorizzazione giudiziale (Cassazione civile, nn. 16808/2019, 11958/2018, 14887/2017, 7066/2016 e 3324/2016)
  2. "l'assenza di sovrapposizione tra il protagonista della procedura fallimentare e l'autore del reato", in relazione alla quale assume rilevanza la circostanza che il soggetto in concordato è la società e non l'imputato, e che l'impossibilità di provvedere al pagamento a causa dei vincoli derivanti dal concordato preventivo riguarda solo la società e non anche l'imputato, che è, invece, l'autore del reato (Corte costituzionale, ordinanza n. 256/2017). Ne consegue che trova applicazione, anche in relazione alla questione del rapporto fra crisi e concordato, il principio secondo cui spetta all'imprenditore in crisi, che sa di avere un debito fiscale a scadenza certa, ponderare la migliore soluzione della crisi di impresa e valutare in tale ambito anche le conseguenze penali della sua eventuale omissione del pagamento del debito
  3. "la natura privilegiata del credito Iva" ex articolo 62 Dpr n. 633/1972, che consente di escludere che il pagamento, intervenuto dopo la presentazione della domanda di concordato preventivo, sia diretto a frodare le ragioni dei creditori, in quanto impedisce l'ulteriore depauperamento per i creditori che deriverebbe dall'imposizione anche di sanzioni e interessi
  4. "la specialità dell'obbligazione tributaria" con riferimento alla quale l'inadempimento è addirittura assistito, a certe condizioni, da sanzione penale, a differenza di quanto accade per la generalità delle altre obbligazioni. Nell'interferenza fra diritto penale e diritto delle procedure concorsuali, il legislatore ha, dunque, inteso dare spazio all'effettività della tutela penale, anche a scapito della par condicio creditorum, dovendosi considerare che, diversamente opinando, il profitto da omesso versamento - consistente in un risparmio di spesa corrispondente all'entità del tributo non versato - andrebbe di fatto a incrementare il patrimonio del contribuente. In altre parole, la configurabilità dei reati di omesso versamento, anche nel caso in cui il termine rilevante ai fini penali venga a scadere dopo la presentazione della domanda di concordato, risponde all'esigenza di garantire in modo particolarmente pregnante il credito erariale, rispetto al quale l'ordinamento appronta anche lo strumento della confisca, la quale svolge una funzione ripristinatoria.

In altre parole, l'aver presentato una domanda di concordato (ordinario o con riserva) in attesa di omologa non esime dal pagamento dei contributi in scadenza l'imprenditore che, in quanto atto di straordinaria amministrazione, dovrebbe comunque attivarsi per la richiesta di autorizzazione al Tribunale e, una volta ottenuta, tranquillamente procedere al pagamento, senza alcuna violazione della par condicio creditorum e senza, ovviamente, incorrere nella contestazione penale di omesso versamento. Di conseguenza, nella fattispecie esaminata, poiché in data antecedente alla scadenza del debito, l'amministratore unico non è stato destinatario di alcun provvedimento del tribunale che abbia vietato o che, comunque, non lo abbia autorizzato al pagamento dei crediti Iva anteriori, non è "configurabile la scriminante dell'adempimento di un dovere imposto da un ordine legittimo dell'autorità̀ di cui all'articolo 51 cod. pen., derivante da norme poste a tutela di interessi aventi anche rilievo pubblicistico, equivalenti a quelli di carattere tributario". DA FISCO OGGI.