La governance nella sostenibilità

07.11.2025

Quando si parla di sostenibilità spesso di tende a ritenere che l'aspetto più rilevante sia attribuibile alla questione ambientale, ma in realtà la governance di una società è sempre l'elemento di maggiore interesse. È il luogo dove si prendono le decisioni e si elaborano le strategie, anche in ambito ESG. Generalmente invece si è portati ad associare la G, dell'acronimo ESG, alle politiche di inclusività e diversità nella composizione del board, alle pratiche sulla retribuzione dei consiglieri e manager e cose simili. Ma questo è un errore concettuale; a parere di chi scrive la G va letta in modo diverso. La G è la governance a tutto tondo. Il luogo e il momento in cui si creano le strategie e non riguarda solo l'inclusività nella formazione del board, ma la visione con cui questo opera e sceglie e programma il futuro avendo riguardo per la sostenibilità in ambito ambientale e sociale. La governance è l'organizzazione decisionale in grado di fondare e diffondere la cultura di un nuovo capitalismo che sia attento al profitto come alla sostenibilità. Per capire meglio di cosa si parla è interessante analizzare ed esaminare il rapporto dell'INSEAD Corporate Governance Centre ("Progettare la governance della sostenibilità – Strutture e pratiche del consiglio di amministrazione per migliori performance ESG" - INSEAD - marzo 2022) che, anche se datato, è nato con l'obiettivo di aiutare le strutture dei consigli di amministrazione delle imprese a valutare e migliorare le proprie strutture e pratiche di governance per affrontare in modo efficace le sfide legate alla sostenibilità e ai criteri ESG (ambientali, sociali e di governance). La premessa del rapporto è che la sostenibilità sarà, e per molte aziende è già oggi, pienamente integrata nel modo stesso di fare impresa, di pianificare e progettare e questa integrazione è dimostrata dal fatto che spesso non necessita di figure o di comitati dedicati. La maggior parte delle piccole e medie aziende è ancora in una fase di transizione rispetto ai criteri ESG o ancora non si è approcciata a queste tematiche e ha strutture decisionali inadeguate e incontra difficoltà operative dovute alla complessità del contesto. Il documento si basa su una combinazione di ricerche qualitative e quantitative, condotte in parte facendo ricorso ad interviste con amministratori e manager, e integra tre studi precedenti di INSEAD fatti da altri partner. L'autore del report (Ron Soonieus) sostiene che le imprese oggi si trovano in una situazione complessa e colma di sfide, dovendo affrontare: la crisi climatica, la digitalizzazione, le disuguaglianze sociali, i conflitti, le tensioni geopolitiche, le richieste crescenti di trasparenza e responsabilità da parte di azionisti e stakeholder. In questo scenario nelle imprese il board diventa il fulcro della risposta strategica, chiamato a bilanciare interessi multipli e spesso conflittuali adottando scelte giuste e sostenibili che possono creare il mix vincente per garantire uno sviluppo sano e durevole dell'impresa. Gli ostacoli strutturali che limitano l'efficacia delle decisioni in ambito ESG, nei consigli di amministrazione, che lo studio INSEAD elenca, sono essenzialmente due: il circolo vizioso della carenza di competenze e la trappola della velocità e complessità. Il circolo vizioso della carenza di competenze riguarda il fatto che spesso gli amministratori non possiedono conoscenze sufficienti in materia di sostenibilità e per altro verso i manager esperti in ambito ESG, che sono scelti per fare queste funzioni, non hanno esperienza di governance o non hanno curriculum adeguati a entrare nei board. Questo scollamento genera un vuoto decisionale che perpetua l'inefficacia strategica. La trappola della velocità e della si riferisce alla circostanza che le questioni ESG si evolvono rapidamente e sono intrinsecamente complesse e questo richiede un equilibrio tra intuizione e rigore, visione e analisi e prontezza di azione. Molti consigli reagiscono alla complessità con l'immobilismo totale, incapaci di gestire simultaneamente il ritmo del cambiamento e la profondità dei temi. La soluzione proposta è progettare strutture di governance flessibili e pratiche adattive, che consentano ai consigli di apprendere, sperimentare e integrare progressivamente le azioni in tema di sostenibilità nel proprio bagaglio culturale e operativo. Lo studio propone o, meglio, esamina, sei modelli di governance per integrare l'ESG in modo efficace ed efficiente nell'organizzazione strategica e gestionale di una società. Vediamoli brevemente; il primo è definito modello "completamente integrato" e si caratterizza per le seguenti caratteristiche: • la sostenibilità è parte integrante di tutte le decisioni e della strategia aziendale; • le tematiche ESG sono incluse nello statuto del consiglio e affrontate in ogni riunione. Questo approccio è diffuso, dalle indagini dell'INSEAD, solo nel 31% delle aziende. Come punti di forza ha il fatto di sviluppare una visione olistica, un allineamento strategico alla cultura ESG che diventa permanente. I rischi possono essere rappresentati dal continuo impegno richiesto da queste tematiche e dal rischio di trade off nelle decisioni (profitto/sostenibilità); inoltre, in assenza di forti competenze potrebbe tendere ad una superficialità o ad una mancata specializzazione in ambito ESG. Un modello più leggero potrebbe essere quello definito del "comitato dedicato". Costituire, cioè, un comitato ad hoc che si occupa e gestisce tutte le tematiche ESG. Questo modello è popolare tra le grandi imprese (20–34%) e ha il vantaggio di garantire una certa specializzazione e capacità di approfondimento, permettendo un focus tematico e accelerazioni e adeguamenti ai cambiamenti esterni. I rischi sono l'isolamento delle tematiche ESG dal resto del board, una scarsa integrazione strategica, e conseguentemente pratiche di greenwashing. Il terzo modello prevede sempre di avere un comitato ma non specifico ed è definito modello del "comitato aggiunto ad un comitato esistente" Le responsabilità ESG vengono integrate in comitati già esistenti (es. audit, rischio o governance). Si stima venga usato dal 10% delle aziende ed è adatto come passaggio intermedio ma rischia di ridurre l'ESG ad una pratica di mera compliance. Il quarto modello è chiamato della "responsabilità di più comitati". Le questioni ESG sono suddivise tra diversi comitati (es. governance, remunerazioni, rischi) per favorire una visione maggiormente capillare. Il rischio è quello di una eccesiva frammentazione. Potrebbe essere efficace se accompagnato da una supervisione centrale del presidente o di un consigliere delegato. Il quinto modello è quello del "campione del board", dove un singolo membro del consiglio è nominato referente per la sostenibilità. È diffuso nel 15% delle aziende. E anche in questo caso è valido per avviare il cambiamento, ma limitato se non supportato da strutture complementari. Anche qui il rischio è dell'isolamento e del greenwashing. L'ultimo modello è quello chiamato "modello non formalmente incorporato". Ovvero non c'è un ruolo specifico o un comitato ad hoc. La sostenibilità è gestita secondo necessità. È presente nel 12% dei casi, soprattutto tra le piccole e piccolissime aziende ed è considerato un modello poco idoneo allo scopo perché si rischia di non gestire in modo efficace e progressivo le questioni ESG. Nello studio vengono suggerite delle pratiche per potenziare la governance in tema di sostenibilità che possono essere adatte a qualsiasi struttura, di seguito una panoramica: • cercare di avere aggiornamenti periodici tenendo meeting con esperti o consulenti esterni – (usati dal 40% delle aziende), che possono offrire una visione globale e stimolare la riflessione, curandosi di inserire queste occasioni in percorsi continuativi e ripetuti; • integrare in staff consulenti esterni permanenti o semipermanenti (11%) che collaborano stabilmente col board per fornire competenze ESG mirate; • in caso di presenza di una struttura interna (ad esempio un comitato) che si occupa di ESG è opportuno cercare di avere aggiornamenti regolari e periodici sulla funzione di sostenibilità e sulle iniziative in atto (48%) evitando che ci si limiti ad un semplice reporting annuale; • creare una task force mista (membri del board e dirigenti - 7%) che promuove apprendimento congiunto e collaborazione tra governance e management in tema di sostenibilità; • in estrema ratio avere un consiglio esterno all'impresa che sia indipendente e si occupa della sostenibilità (3%) composto da esperti accademici, ONG, investitori e tecnici. Questo metodo di configurazione della governance in tema ESG può offrire indipendenza e credibilità, ma è raramente utilizzato. Il rapporto INSEAD mostra inoltre che: • il 91% dei consiglieri riconosce l'importanza della sostenibilità per la strategia aziendale; • tuttavia, meno della metà dei consiglieri si sente efficace nel guidarla (aiuterebbe avere consulenti esterni); • l'85% dichiara di non avere conoscenze sufficienti sul clima (anche in questo caso i consulenti esterni aiutano a creare cultura su questi temi); • il 69% ammette che le competenze ESG non sono un requisito formale per far parte del board e questo è grave. Cosa possono fare ulteriormente i board per migliorare la loro organizzazione e il funzionamento in ambito di sostenibilità? Ad esempio: analizzare la struttura e la cultura aziendale prima di scegliere un modello di governance; allineare la sostenibilità con la missione, lo scopo e le esigenze degli stakeholder; adottare soluzioni temporanee, come un comitato provvisorio o un consigliere con competenze specifiche per avviare il processo di cambiamento della strategia; valutare e aggiornare periodicamente le strutture di governance in base all'evoluzione dell'ESG; curare una comunicazione trasparente comunicando (all'interno e all'esterno) pubblicamente la propria architettura di governance e le pratiche adottate; ovviamente evitare il greenwashing che mina la credibilità del consiglio ma soprattutto dell'impresa. Il rapporto si chiude con una riflessione prospettica e profetica che sicuramente si avvererà, a prescindere dagli approcci antiscientifici e scettici di alcuni studiosi: tra cinquant'anni, la sostenibilità sarà così profondamente incorporata nelle strutture di governance e nelle decisioni aziendali che non richiederà più comitati o figure dedicate. Le imprese del futuro forniranno capitale ambientale e sociale con la stessa attenzione con cui oggi gestiscono il capitale economico e finanziario e umano. Nel frattempo, la priorità per i consigli è colmare il divario di conoscenze, sviluppare cultura ESG e istituzionalizzare pratiche di apprendimento continuo. Solo così potranno passare da un approccio conservativo e limitante ad uno realmente strategico, in grado di creare valore sostenibile per tutti gli stakeholder.