La politica monetaria e le disuguaglianze

03.02.2022

DAL BLOG ARTURO GULINELLI. Recentemente è stato pubblicato un interessante contributo che affronta il tema delle politiche monetarie e la possibilità che certe decisioni possano aiutare a contrastare le crescenti disuguaglianze ("Central banking and inequality: Covid-19 and beyond", 11 December 2020 - remarks by Luiz Awazu Pereira da Silva).

Gli autori nelle premesse ricordano che una delle domande più ricorrenti in tema di politiche monetarie è quella che pone l'accento sull'effetto ricchezza; ci si chiede, in sostanza, se le decisioni delle banche centrali possano addirittura contribuire alla crescita della disuguaglianza. Peccato che non viene preso in considerazione il contributo di T. Piketty - r > g - se una società cresce poco, la ricchezza si accumula a favore di poche persone e le disuguaglianze crescono (il tasso di crescita dell'economia è più importante del tasso di interesse).

Tra le varie indicazioni che gli autori commentano vi è quella che vede la politica monetaria come "neutrale" rispetto ai vari driver che causano la disparità di reddito. Alcune risultanze ed evidenze sembrano dimostrare, infatti, che la disuguaglianza di reddito è aumentata sia nei paesi che sono attenti a controllare l'inflazione sia in quelli che non perseguono in modo ostinato bassi livelli di inflazione. Anzi la disuguaglianza è aumentata anche nei paesi che hanno banche centrali che hanno adottato politiche non convenzionali.

Nel documento si sostiene che le politiche monetarie possano ridurre le disuguaglianze proteggendo il reddito, e che politiche espansive stabilizzano il ciclo economico riducendo i tassi di interesse e attenuando il peso del debito.

Si deduce anche che la stabilizzazione dell'inflazione può limitare l'erosione dei contanti e dei depositi di modesto valore, che in genere non sono protetti da forti oscillazioni dei prezzi.

Tuttavia, a parere di chi scrive è probabile che i lavoratori, e in genere le persone con bassi redditi, preferiscano, alla protezione dei propri depositi, la crescita economica e migliori condizioni di occupabilità, anche con maggiore livello dei prezzi.

A questa considerazione occorrerebbe aggiungere che l'effetto di particolari politiche del credito e del risparmio (la deregolamentazione finanziaria degli ultimi decenni e le folli cartolarizzazioni) insieme alle politiche espansive della FED dopo l'attacco alle torri gemelle (il tasso di interesse passa dal 6,5% di fine 2000 all'1,75% del 2001 per arrivare al record negativo del 1% nei successivi anni) hanno innescato una bolla immobiliare che è tra le cause che ha portato alla grande crisi del 2008.

La crisi ha distrutto PIL e creato disoccupazione e crescita del debito pubblico ad un livello tale che nessuna politica monetaria da sola ha potuto porvi rimedio.

La grande disponibilità di liquidità e i bassi tassi di interesse, che sono una conseguenza delle politiche monetarie espansive, hanno certamente ridotto il peso dei debiti e permesso un facile accesso al credito al consumo, oltre che a quello ipotecario, ma non hanno colmato il calo dei salari che da decenni si sta registrando in tutti i paesi avanzati.

La riduzione delle disuguaglianze andrebbe analizzata sotto il profilo delle politiche fiscali più che quelle monetarie e del resto bassi tassi di interesse, nel lungo periodo, hanno spesso creato bolle e recessioni; basterebbe tornare a leggere il pensiero di H. Minsky.

Gli autori del paper concludono sostenendo che la disuguaglianza può ostacolare la trasmissione all'economia reale delle politiche monetarie minandone l'efficacia. Infine, auspicano che le innovazioni tecnologiche nel campo della finanza possano aiutare a ridurre la disuguaglianza rendendo più accessibile la moneta (o meglio i mezzi di pagamento elettronici) e in genere il suo uso alle persone più disagiate.

Un aspetto non affrontato nel paper, in realtà molto importante, è che per potersi trasmettere all'economia reale le politiche monetarie hanno bisogno di soggetti economici disposti a consumare e fare investimenti (quindi ad indebitarsi), ma la riduzione dei salari e la contrazione dei profitti, classica di alcuni settori di impresa, non aiuta la produzione nel breve periodo e l'incertezza può condizionarne la crescita anche nel medio-lungo.

La vera preoccupazione, a cui tutte le banche centrali dovrebbero guardare, soprattutto nei paesi avanzati, è la deflazione (o periodi troppo lunghi di bassa inflazione) e promuovere politiche fiscali coordinate con quelle monetarie, perché la crescita della domanda (e del PIL) è l'unica via per ridurre le disuguaglianze.