Sì al regime per i lavoratori impatriaticon ventiquattro mesi di lavoro estero

11.11.2022

I contribuenti che vogliono accedere al beneficio previsto per i lavoratori impatriati devono essere in possesso di un titolo di laurea e aver svolto continuativamente un'attività di lavoro o di studio fuori dall'Italia negli ultimi ventiquattro mesi o più. Questi i presupposti che danno luogo al riconoscimento dell'agevolazione fiscale chiariti nella risposta all'interpello n. 272 del 18 luglio 2019.


Il quesito
La richiesta di chiarimenti arriva da un contribuente che ha frequentato una scuola di specializzazione a Londra dal 17 agosto 2015 al 26 luglio 2017 dove ha conseguito un MBA; da gennaio 2016 risulta iscritto all'Aire ma fino al periodo d'imposta 2017 ha presentato la dichiarazione dei redditi in Italia come soggetto residente.
Dal 17 luglio 2017 al 31 dicembre 2018 ha lavorato presso la sede londinese di un'azienda e dal 7 gennaio 2019 lavora presso una nuova società con sede a Londra ma dalla quale otterrà un trasferimento, nel prossimo mese di agosto 2019, presso la sede italiana.
Il contribuente chiede di sapere se con decorrenza dal periodo d'imposta 2020 possa usufruire del beneficio fiscale per i lavoratori impatriati (articolo 16, comma 2 del Dlgs n. 147/2015).
Il parere dell'Agenzia
L'Agenzia ripercorre il contenuto della disposizione, che prevede che i redditi di lavoro dipendente e di lavoro autonomo prodotti in Italia concorrono alla formazione del reddito complessivo nella misura del 50% a decorrere dal periodo di imposta in cui il lavoratore trasferisce la residenza fiscale in Italia e per i quattro periodi di imposta successivi.
I contribuenti che vogliono accedere al beneficio, devono, tra l'altro, essere in possesso di un titolo di laurea (o altro titolo accademico post lauream con durata di almeno 2 anni accademici) e aver svolto continuativamente un'attività di lavoro o di studio fuori dall'Italia negli ultimi 24 mesi o più, ma non necessariamente nei 2 anni precedenti il rientro.
Al riguardo con la risoluzione n. 51/2018 è stato chiarito che la residenza all'estero per almeno 2 periodi d'imposta costituisce il periodo minimo sufficiente a integrare il requisito della non residenza nel territorio dello Stato e a consentire, pertanto, l'accesso al regime agevolativo. Di conseguenza, il richiedente può accedere all'agevolazione purché trasferisca la sua residenza in Italia e si impegni a rimanervi per almeno 2 anni.
Inoltre, per poter usufruire del beneficio fiscale riservato ai lavoratori impatriati occorre che la persona, per i due periodi di imposta antecedenti a quello in cui si rende applicabile l'agevolazione, non sia iscritta nelle liste anagrafiche della popolazione residente e non abbia avuto nel territorio dello Stato il centro principale dei propri affari e interessi, né la dimora abituale. Infatti, l'articolo 2 del Tuir, ricorda l'Agenzia, stabilisce che sono residenti in Italia le persone fisiche che, per almeno 183 giorni (o 184 giorni in caso di anno bisestile) sono iscritte nelle anagrafi della popolazione residente o hanno nel territorio dello Stato il domicilio o la residenza ai sensi del codice civile. Tali condizioni sono alternative e, quindi, la sussistenza anche di una sola di esse è sufficiente a fare ritenere che un soggetto sia qualificato, ai fini fiscali, residente in Italia.
Riferendoci al caso specifico, l'Agenzia ritiene che l'interessato, che rientrerà in Italia a fine agosto 2019, avrà maturato il requisito della residenza estera nonché quello di svolgimento dell'attività di lavoro all'estero per un periodo di almeno 24 mesi e potrà, quindi, fruire dell'agevolazione riservata ai lavoratori impatriati, essendo presenti tutti i presupposti.