Se il furto di contrassegni esclude il rimborso

12.03.2022

Al centro della controversia una società di diritto tedesco che ha acquistato contrassegni fiscali per un valore di quasi 200 mila euro per sigarette prodotte in Irlanda da una società locale e destinate al mercato tedesco. La sentenza pronunziata in data odierna dalla Corte di Giustizia delle Comunità europee ha per oggetto la portata applicativa della direttiva 92/12/Cee che disciplina il regime applicabile alla detenzione, alla circolazione e ai controlli dei prodotti soggetti ad accisa. In particolare, la predetta direttiva mira ad armonizzare le modalità di riscossione dell'accisa, garantendo il prelievo di tale imposta in un unico Stato membro, cioè quello in cui avviene l'immissione in consumo.

La normativa di riferimento
L'articolo 6 della direttiva in esame dispone che l'accisa diviene esigibile all'atto della immissione in consumo, intendendosi per tale: lo svincolo, anche irregolare, da un regime sospensivo; la fabbricazione, anche irregolare, dei prodotti in questione al di fuori di un regime sospensivo; l'importazione, anche irregolare, dei prodotti in questione, quando essi non sono vincolati a un regime sospensivo. Ai sensi della direttiva 92/12 compete allo Stato membro in cui è effettuata l'"immissione in consumo" fissare le condizioni di esigibilità e di liquidazione dell'accisa da applicare nonché stabilire l'aliquota. C'è tuttavia l'obbligo per ciascuno Stato di destinare il medesimo trattamento impositivo, e, cioè, le stesse modalità di riscossione ed esenzione, sia ai prodotti nazionali che ai prodotti provenienti dagli altri Stati membri.
Pagamenti delle accise: i casi di irregolarità o infrazione
L'articolo 20 della direttiva prevede, altresì, che in caso di irregolarità o infrazione nel pagamento dell'accisa, questa deve essere pagata nello Stato membro nel cui territorio è stata accertata l'infrazione. Il successivo articolo 21 prevede che gli Stati membri possano imporre che i prodotti soggetti ad accisa, prima di essere destinati al consumo, siano muniti di appositi contrassegni fiscali. Laddove i prodotti soggetti ad accisa non siano di fatto destinati ad essere consumati nello Stato in cui è avvenuta l'immissione in consumo, il soggetto interessato in presenza di precise condizioni (tra cui rientra la oggettiva dimostrazione della distruzione dei contrassegni ) può proporre istanza per il rimborso dell'imposta assolta (articolo 22). Delineata brevemente la disciplina sull'accisa si può passare all'illustrazione delle circostanze che hanno comportato l'insorgere della controversia in esame.
Il protagonista della controversia
La Tuxedo è una società di diritto tedesco che ha acquistato contrassegni fiscali per un valore di quasi 200mila euro per sigarette prodotte in Irlanda dalla "Carroll Ltd" e destinate al mercato tedesco. Ai sensi della normativa tedesca l'accisa colpisce sia sigarette e sigari che tabacchi lavorati. Tale imposta è corrisposta mediante l'utilizzazione di contrassegni fiscali che vengono apposti sui pacchetti. Il produttore o l'importatore di tabacchi deve ordinare detti contrassegni utilizzando l'apposito modello previsto dall'amministrazione fiscale. L'imposta diviene esigibile al momento dell'acquisto dei contrassegni fiscali per l'importo fiscale che essi rappresentano. Nel caso in cui i tabacchi siano ammessi in un deposito fiscale o trasportati sotto sorveglianza amministrativa sussiste titolo per la esenzione dell'accisa.
La dinamica degli avvenimenti
La Tuxedo spedisce i contrassegni acquistati alla Carroll Ltd la quale li appone sui singoli pacchetti di sigarette. La Carroll successivamente provvede a spedire pacchetti, in regime sospensivo intracomunitario, nei Paesi Bassi. Accade, però, che le sigarette vengano rubate in Irlanda. Di conseguenza la Tuxedo, ritenendo che le sigarette rubate fossero state rivendute sul mercato nero britannico, chiede il rimborso dei 200 mila euro utilizzati per l'acquisto dei contrassegni. Tale richiesta viene rigettata sulla base del presupposto che la perdita dei contrassegni fiscali gravi sull'acquirente e che non è da escludere che detti contrassegni siano stati smerciati nel territorio fiscale tedesco. La Tuxedo si oppone a tale diniego rilevando che è contrario alla direttiva 92/12 che "un importo esigibile per contrassegni fiscali non venga assorbito da una successiva o contemporanea imposta sui tabacchi".
La questione passa alla Corte comunitaria
La questione viene quindi sottoposta, dal giudice tedesco, al vaglio della Corte di Giustizia cui è chiesto di stabilire se sia conforme alla direttiva 92/12 escludere il rimborso dell'importo versato per l'acquisto di contrassegni fiscali qualora detti contrassegni siano stati posti su prodotti prima della loro immissione in consumo e qualora detti prodotti siano stati rubati in altro stato membro. I giudici rilevano, in via preliminare, che i contrassegni fiscali sui prodotti soggetti ad accisa hanno una valenza primaria atteso che indicano, presuntivamente, che i diritti di accisa sono stati liquidati nello Stato membro in cui i contrassegni sono stati rilasciati. Di conseguenza sussiste la presunzione che i prodotti siano regolarmente commercializzati nel predetto Stato. Pertanto, in caso di smarrimento o furto, detti contrassegni si prestano a essere agevolmente utilizzati per fini illeciti.
Le conseguenze
Ciò implica che, laddove un operatore economico che ha acquistato detti contrassegni, non sia in grado di provare che essi non saranno utilizzati per smerciare prodotti soggetti ad accisa nello Stato membro di rilascio di detti contrassegni, tale Stato ha un interesse pienamente legittimo a negare il rimborso dell'importo pagato. A parere della Corte, difatti, non è contrario al principio di proporzionalità far gravare sull'acquirente la responsabilità finanziaria della perdita dei contrassegni fiscali. Al contrario una normativa che, in caso di scomparsa di contrassegni fiscali, consente all'acquirente di ottenerne ipso facto il rimborso, contribuirebbe a diffondere un sistema di illegalità in quanto incentiverebbe il ricorso alla frode e al rischio di utilizzo abusivo dei contrassegni in parola. Pertanto ad avviso della Corte, nel caso di specie, sarebbe paradossale che, in assenza della prova della distruzione dei contrassegni di cui all'articolo 22 della citata direttiva, lo Stato sia obbligato alla restituzione dell'importo pagato per l'acquisto dei contrassegni apposti sulla merce sottratta.
I rilievi nei riguardi della Commissione
All'obiezione formulata dalla Commissione, secondo cui fornire la dimostrazione che i contrassegni sono stati distrutti o che i prodotti rubati non sono stati commercializzati è una "probatio diabolica", i giudici comunitari oppongono che è elevatissimo il rischio che i contrassegni vengano indebitamente utilizzati, per cui non è possibile in concreto imporre allo Stato membro il rimborso del relativo ammontare. A tal proposito la Corte precisa che non esiste alcun obbligo legale di apporre i contrassegni fiscali sulle confezioni dei prodotti soggetti ad accisa prima della loro immissione in consumo. Per cui, pur se tale preventiva apposizione corrisponde a una scelta di praticità da parte dell'operatore, nondimeno su quest'ultimo graverà il rischio di sopportare l'onere del furto e/o smarrimento dei prodotti già muniti di contrassegno.
Le conclusioni
La Corte conclude, quindi, che è conforme alla direttiva 92/12 la circostanza che "la normativa di uno Stato membro escluda il rimborso dell'importo pagato per l'acquisto di contrassegni fiscali rilasciati da detto Stato membro qualora tali contrassegni siano stati apposti su prodotti soggetti ad accisa prima della loro immissione in consumo e tali prodotti vengano rubati in un altro Stato membro, il che implica che il pagamento dei diritti di accisa in quest'ultimo".