Spese carburante, per dedurle non basta un’astratta inerenza

23.06.2025

In tema di imposte sui redditi e Iva, in caso di contestazione, anche presuntiva, da parte dell'Agenzia delle entrate, dei costi dedotti dall'imprenditore, grava sul contribuente l'onere di comprovare, con idonea documentazione, l'inerenza piena all'attività d'impresa. Non basta, infatti, per la loro deducibilità, che i costi siano per loro natura astrattamente correlati all'attività. È quanto in estrema sintesi si evince dalla recente ordinanza della Corte di cassazione (la n. 13674 del 22 maggio scorso) in materia di spese per carburante.

La vicenda
L'Agenzia delle entrate ha spiccato alcuni atti accertativi nei confronti di una società di trasporto molisana, disconoscendo spese per carburanti in quanto documentate da fatture generiche e senza l'indicazione della targa dei veicoli riforniti. Per il Fisco, le fatture risultavano prive del requisito della "certezza", con conseguente ostacolo alla deduzione dei costi e detrazione dell'Iva. La società si è opposta alla pretesa impositiva, invocando l'inerenza e la correlazione delle spese in quanto connaturate alla tipologia di attività di autotrasporto svolta.

In accoglimento delle argomentazioni difensive, i giudici tributari di primo e secondo grado hanno dichiarato l'illegittimità della pretesa, ravvisando l'automatica inerenza delle fatture: la società svolgeva attività di autotrasporto, sicché l'acquisto di carburante è risultato "intrinsecamente legato all'attività svolta".

Malgrado la "doppia pronuncia" sfavorevole, l'Agenzia delle entrate ha censurato la sentenza davanti ai giudici di Cassazione, deducendo che la natura della spesa sostenuta dalla società non potesse integrare ex se i requisiti di inerenza e certezza, peraltro giustificati da fatture irregolari, non indicando la targa dell'automezzo cui il carburante era destinato.

La pronuncia della Cassazione
La Corte di Cassazione ha accolto il ricorso dell'Agenzia, chiarendo importanti aspetti sui criteri alla base del riparto dell'onere della prova.

Preliminarmente, i giudici hanno respinto l'eccezione della parte privata che voleva l'inammissibilità del ricorso per violazione del principio di "doppia conforme". Il principio per il quale non è possibile proporre ricorso in cassazione nel caso di doppia conforme di merito, sicuramente applicabile anche al giudizio tributario, riguarda esclusivamente la"proposizione di vizi di motivazione"e non anche le censure di "violazione di legge",come proposte nel caso concreto.

Detto questo, i giudici hanno osservato, relativamente alla questione principale, che "la ricorrente (l'Agenzia delle Entrate - ndr) ha comprovato in atti che le contestazioni non riguardano, sic et simpliciter, l'inerenza di parte dei costi sostenuti dalla società contribuente per l'acquisto di carburante all'attività di impresa (inerenza astrattamente sussistente, come chiarito anche dalla sentenza impugnata), ma involgono la certezza stessa del costo, sia perché alcune fatture non riportano l'indicazione della targa dell'automezzo che ha usufruito del carburante acquistato, sia perché i consumi di carburante non sono compatibili con gli effettivi chilometri percorsi dagli automezzi nella disponibilità della controricorrente".
Pertanto, hanno precisato i giudici, ricade sul contribuente l'onere di provare che i costi afferiscono all'attività d'impresa, altrimenti sono indeducibili e indetraibili: "da un lato, costituisce principio giurisprudenziale pacifico quello per il quale, in tema di imposte dirette ed IVA, il contribuente è onerato di comprovare, con idonea documentazione, l'inerenza dell'operazione all'attività d'impresa, con la conseguenza che, laddove la fatturazione sia priva degli elementi che consentano di dimostrare la riferibilità di dette spese ai mezzi strumentali impiegati per l'esercizio dell'impresa, va esclusa la deducibilità dei costi medesimi e la detraibilità dell'IVA".
Invece, i giudici di merito non hanno tenuto conto "delle contestazioni dell'ufficio concernenti la effettiva utilizzazione del carburante acquistato per l'esercizio dell'attività d'impresa, contestazioni fondate su presunzione certamente dotata dei requisiti di gravità, precisione e concordanza".
Pertanto, il ricorso dell'Agenzia delle entrate è stato accolto, con cassazione della sentenza impugnata e rinvio al giudice di secondo grado in diversa composizione per un nuovo esame.

Conclusioni
Le regole di ripartizione della prova nel processo tributario hanno sempre suscitato un grande dibattito, che si è acuito con la riforma dell'articolo 7 del Dlgs n. 546/1992 e con l'introduzione del comma 5-bis. Da un lato, la tesi di matrice dottrinaria, che ha intravisto nella nuova disposizione l'origine di un onere probatorio rafforzato e oltremodo gravoso a carico dell'amministrazione finanziaria, finanche ad abrogazione implicita delle disposizioni speciali in tema di presunzioni legali tributarie. Dall'altro, la tesi maggioritaria, confermata dalla Cassazione all'indomani della novella legislativa, che ha chiarito come la nuova disposizione non si ponga in contrasto con la preesistente applicabilità delle presunzioni legali, che impongono al contribuente la prova contraria.
Anche per le presunzioni semplici, disciplinate dal Codice Civile (articoli 2697 e 2729) e dalle norme in tema di accertamento tributario, la prova presuntiva è sempre ammessa a fondamento della pretesa del Fisco. Quindi, se la presunzione di non inerenza o di incertezza dei costi risponde ai requisiti della precisione, gravità e concordanza secondo il prudente apprezzamento del giudice, non si potrà negare - anche in ossequio alla regola processualistica di "vicinanza" alla prova - l'inversione dell'onere della prova a carico del contribuente.


Da Fisco Oggi