
Trasparenza e confrontabilità nei rating ESG: alcuni limiti
Il rating ESG è sempre più importante per molte imprese e anche per gli investitori e i risparmiatori, ma non sempre gli enti certificatori e i criteri di assegnazione consentono una confrontabilità e questo può creare confusione. Un rapporto recente dell'OCSE dal titolo: "Dietro i rating ESG – 2025", offre un'analisi sistematica di oltre 2.000 parametri ESG utilizzati da alcuni tra i principali fornitori internazionali di rating, evidenziando limiti strutturali, gravi divergenze metodologiche, lacune tematiche e implicazioni politiche per investitori e regolatori. L'obiettivo è comprendere come vengono costruiti i rating ESG, quali metriche li alimentano e quanto queste metriche siano realmente in grado di misurare impatti, rischi e performance di sostenibilità in modo puntuale e corretto. Il rapporto nasce dalla crescente pressione internazionale per una maggiore trasparenza nei dati ESG, resasi necessaria alla luce di tre fenomeni: 1. l'uso dei rating ESG come strumenti di investimento e allocazione del capitale; 2. la proliferazione dei requisiti normativi (SFDR, tassonomia UE, direttiva CSRD); 3. la richiesta di maggiore comparabilità e affidabilità dei dati sulla sostenibilità. Il documento conclude che la qualità e la coerenza delle metriche ESG sono ancora insufficienti per valutazioni robuste della sostenibilità aziendale, e formula raccomandazioni politiche per aumentare la trasparenza e la convergenza metodologica. Ma vediamo meglio cosa sostiene il rapporto. Le metriche ESG, che sono alla base dei giudizi, costituiscono una parte fondamentale dell'ecosistema della finanza sostenibile. Il documento sostiene che sia gli investitori che i decisori politici utilizzano questi rating per valutare rischi, impatti e strategie delle imprese in relazione ai criteri ambientali, sociali e di governance. Tuttavia, l'OCSE osserva una forte eterogeneità nelle metriche e nei metodi applicati per le valutazioni in tema ESG e in particolare si sostiene che: • i rating coprono tematiche molto diverse in modo disomogeneo e squilibrato. Alcune aree, come la governance aziendale e l'etica, sono misurate con oltre 20 metriche, mentre altre – biodiversità, resilienza aziendale, relazioni con la comunità – dispongono di meno di cinque metriche o in altri casi sono addirittura assenti dai processi di valutazione; • le metriche disponibili sono numerose, ma molto diverse tra loro per struttura, qualità, e tipologia di dati; • alcune tematiche emergenti, rilevanti dal punto di vista normativo o sostanziale (come i diritti umani, la supply chain nei contesti ad alto rischio, la corruzione etc.) risultano in molti casi non coperte. Come anticipato, il rapporto osserva che alcune categorie, come diritti umani e corruzione, compaiono raramente nei processi di assegnazione del rating, nonostante siano centrali nel quadro delle Linee Guida OCSE sulla responsabilità sociale di impresa. Una conseguenza importante è che si può ragionevolmente supporre che taluni impatti e rischi non vengano catturati in modo significativo e completo. Questa incompletezza può generare rating che non riflettono la performance ESG delle impese in modo adeguato. L'OCSE evidenzia altre perplessità metodologiche, come le seguenti circostanze: • il 68% delle metriche ESG è basato sugli input: raccolta di informazioni su politiche e impegni dichiarati dall'azienda, più che sui risultati concreti; • solo il 17% è guidato da metriche di output, quelle che catturano dati quantitativi oggettivi e comparabili (emissioni, consumi, tassi di turnover, incidenti, etc.). In sostanza vi è una sottovalutazione delle metriche quantitative che rappresentano solo una parte del totale dei dati che resta prevalentemente di natura qualitativa. Il rapporto sottolinea che l'uso predominante di metriche qualitative può portare ad approcci "tick-the-box", cioè verifiche formali del possesso di politiche e prassi interne senza valutarne l'efficacia e questa circostanza mette in discussione la capacità dei rating di misurare la performance ESG reale. Un'altra criticità rilevante riguarda la mancanza di comparabilità tra i rating ESG. Il rapporto mostra che: • per uno stesso argomento, i fornitori possono utilizzare un numero di metriche diverse che varia "fino a 28 volte" tra un oggetto di indagine e un altro; • le metriche utilizzate possono essere di diverso tipo (binario, qualitativo, quantitativo), con differenti livelli di dettaglio; • I pesi attribuiti alle metriche variano ampiamente, influenzando in modo significativo i punteggi finali. Questa situazione è particolarmente rilevante per gli investitori e i regolatori, perché implica che rating diversi possono fornire valutazioni molto divergenti anche della stessa azienda. L'OCSE sostiene che queste mancanze devono essere emendate facendo ricorso ad una maggiore trasparenza in alcuni ambiti, tra cui: • la definizione della performance; • i criteri di ponderazione; • le fonti dei dati e le assunzioni metodologiche. Il rapporto dedica un'intera sezione ai sistemi di Controversy Screening molto diffusi tra gli investitori. I fornitori di rating spesso danno molta rilevanza alla ricerca di notizie sulle controversie (processi, sanzioni e simili) riportate dai media, dalla società civile o nei documenti legali e usano queste informazioni come proxy per valutare la conformità alle Linee Guida OCSE. Il documento spiega che: • circa il 15% di tutte le metriche nei rating deriva da misurazioni legate alle notizie in tema di controversie apparse sui media; • questi sistemi non valutano la qualità del processo di due diligence ESG dell'azienda limitandosi ad un ancoraggio molto forte alla ricerca di informazioni su controversie e processi legali; • tali metodi rischiano di generare valutazioni "reattive", influenzate più dalla visibilità mediatica di talune informazioni che dai reali impatti. È, quindi, necessaria in queste situazioni una metodologia più articolata che non si limiti alla ricerca di informazioni esterne. Il rapporto dedica un ampio spazio anche al tema della catena di fornitura e alla misurazione dei rischi ESG nelle operazioni indirette (fornitori in particolare). La ricerca evidenzia che i rating: • hanno copertura limitata delle prestazioni che vanno oltre il perimetro delle operazioni dirette; • non dispongono di metriche specifiche per aree ad alto rischio, come conflitti o violazioni dei diritti umani; • utilizzano metriche principalmente orientate agli impatti che riguardano il prodotto finale piuttosto che valutare le condizioni operative lungo tutta la supply chain. Questi limiti creano un problema di misurazione degli impatti reali, soprattutto per quelle aziende di grandi dimensioni che operano in più paesi e che conseguentemente hanno elevata esposizione al rischio lungo tutta la catena del valore. La conseguenza più importante, delle lacune osservate e commentante nel rapporto dell'OCSE, è che gli investitori possono incorrere in giudizi non puntuali che portano ad una errata allocazione del capitale. Allo stesso tempo l'uso non comparabile di metriche non consente la confrontabilità dei giudizi su aziende simili o addirittura sulla stessa impresa; non ultimo vi è un elevato rischio di greenwashing. La sfida riguarda i regolatori che potrebbero essere indotti ad adottare norme che favoriscono maggiore trasparenza e standardizzazione delle metriche (facendo chiarezza anche sui pesi e sulle definizioni). Uno sforzo dovrebbe essere fatto per implementare l'adozione di valutazioni che indagano temi spesso non rappresentati o rappresentati in modo non adeguato, come: i diritti umani, la biodiversità, la catena di fornitura, la corruzione. Un'altra sfida sarà quella di incentivare l'uso di metriche basate su output e dati quantitativi, riducendo la dipendenza da valutazioni solo qualitative. Gli enti nazionali, e sovranazionali, dovranno promuovere sempre più la convergenza metodologica a livello internazionale dei giudizi e delle metriche che ne determinano i punteggi.
Dal Blog di Arturo Gulinelli
